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Una nuova primavera si affaccia a Napoli, e tenta uomini e donne con i suoi profumi e i colori, ma anche il male è nell’aria. Manca una settimana a Pasqua nella Napoli del 1932. Al Paradiso, esclusiva casa di tolleranza nella centralissima via Chiaia, Vipera, la prostituta più famosa, è ritrovata morta, soffocata con un cuscino. L’ultimo cliente sostiene di averla lasciata ancora viva, il successivo di averla trovata già morta. Chi l’ha uccisa, e perché? Torna il commissario Ricciardi e deve districarsi in un groviglio di sentimenti e motivazioni. Avidità, frustrazione, invidia, bigottismo. Amore. La scoperta di passioni insospettabili si accompagna alla rivelazione di una città molto diversa da come appare. Sotto i nostri occhi prendono forma, vivissimi e veri, illuminati da dettagli sorprendenti, tutti che rimandano a Napoli, i mercati, i vicoli, le strade, i mestieri, la rete rigogliosa dei commerci vecchi e nuovi, accanto alla vigliaccheria e al coraggio, alle violenze arroganti di chi pensa già di essere impunito per sempre perché indossa una camicia nera. Tanto che uno dei compagni di Ricciardi, il dottor Modo, vecchio estimatore di Vipera, inossidabile antifascista, finisce per cacciarsi in un guaio molto serio… E il romanzo, come non mai, sembra costruirsi da solo, sotto le mani abili di de Giovanni che sa dosare e mescolare gli ingredienti più diversi, come accade nelle ricette napoletane del periodo pasquale di cui è insaporita la storia. De Giovanni si conferma grande scrittore, a tutto campo e questo romanzo lo conferma (anche se qualcosa, nella storia, alla fine non è proprio del tutto convincente). La storia si fa sempre più corale, nell’ambiente e nei personaggi: schivando abilmente la trappola di fare del Fatto un ossessivo protagonista nelle vicende di Ricciardi, De Giovanni fa crescere le figure di accompagnamento (Maione, Modo), la città (da Napoli si è usciti nell’immediata periferia) e gli eventi della storia (l’incalzare del regime e dei suoi violenti attori). Comincia forse ad essere po’ ripetitiva la dicotomia Livia-Enrica come carattere della personalità di Ricciardi – ma tutto il resto si lascia leggere con piacere e voglia di abbandonarsi al ritmo delle parole e allo scorrere delle frasi.

L’incipit numero uno già ci prende mente e cuore: la domanda dell’assassino (il cui senso si rivelerà nelle ultime pagine):

E dimmi: lo sai tu, cos’è l’amore? Tu che lo vendi a due lire a incontro, cinque minuti per respirarti addosso, nemmeno il tempo di guardarti negli occhi, di mormorare il tuo nome, pensi di sapere cos’è l’amore? Che ne sai tu delle lunghe attese, dei silenzi sospesi nell’ansia di una parole, di un sorriso?Con questo tuo corpo morbido che adesso sento muoversi frenetico sotto di me, con queste gambe lunghe e bianche che stringono i miei fianchi, pensi che l’amore sia questo .Io l’ho visto sai, l’amore. L’ho conosciuto, l’ho incontrato. È fatto di dolore e malinconia, di ansia e di ritorni. Non si consuma in un attimo; non nasce e muore in ppsti come questo, con la musica di pianoforte al piano di sotto e nell’odore dei disinfettanti.

 Ricciardi deve districarsi da questo dedalo di sentimenti, per trovare il bandolo della matassa: amore, bigottismo, invidia, avarizia. Tutto questo in una città, dove sempre più evidente è il contrasto tra ricchezza e povertà, anche all’approssimarsi della Pasqua. Festività che viene omaggiata, dal popolino come dal ricco aristocratico, con un pranzo preparato con cura e amore.

Come quello che la tata Rosa insegna alla vicina Enrica, la ragazza che Ricciardi osserva da lontano, ogni sera. Sperando che, passando per la cucina, riesca ad arrivare al cuore.

La pastiera napoletana, preparata con i frutti della primavera, che significa una rinascita: le uova, il grano, il cedro, la ricotta e la farina, i fiori d’arancio e le spezie.

La stessa pastiera che è protagonista di una bella storia, una di quelle che si raccontano ai bambini per farli crescere: la storia di Partenope che, proprio con gli ingredienti della Pastiera, salvò la vita ai pescatori di Napoli, dalla furia del mare.

Ma non c’è spazio solo alle passioni dolci in questa Pasqua: sono gli anni del regime fascista, in cui si rischia di essere arrestati solo per essersi fatti scappare un commento negativo contro il Duce e il partito. Per una barzelletta (c’era un operaio che comprò delle mele, ma non voleva incartarle nel foglio di giornale con la faccia di Mussolini sopra …). O, come capita al dottor Modo, per aver difeso delle ragazze (le compagne di Vipera durante il suo “quasi” funerale) dai soprusi di un gruppo di camice nere. L’arroganza del potere, il sentirsi al di sopra di ogni legge solo perché tu fai la legge e disponi delle vite degli altri come ti pare.

De Giovanni riesce a mescolare sapientemente, come un abile maestro di cucina appunto, tutti questi ingredienti: passione, delitto, il racconto della storia ma anche dei riti e delle usanze tipicamente napoletani. Il risultato è un romanzo che si muove e abbraccia tutta la città, quella dei quartieri, dei mercati, dei vicoli e anche dei palazzi dei signori. Un romanzo dove si mescola il dolce e l’amaro. La dolcezza e la crudeltà. Un romanzo che prende il cuore e l’interesse perché racconta Napoli in alcuni aspetti immutata e per questo ammaliante: con Vipera De Giovanni fa sì che sia battezzata nuova capitale europea del “noir” e non è un battesimo da poco. Dobbiamo essere grati all’Autore per l’onore che ci ha portato.

degiovanni