«La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno». Parte da questo slogan, frutto di una campagna di sostegno all’ateismo partita sui bus di Londra e poi giunta anche in Italia (a Genova), l’indagine sulla religione condotta dal giornalista del Sole 24 Ore Francesco Antonioli, che ha chiamato a raccolta quattro tra i più importanti psicologi e psichiatri italiani (Vittorino Andreoli, Paolo Crepet, David Meghnagi, Maria Rita Parsi) in una sorta di “forum virtuale” dedicato ai rapporti tra psiche ed esperienza religiosa. Davvero non abbiamo bisogno di Dio? Se dalla preistoria ad oggi tutte le civiltà della terra sono state caratterizzate da esperienze religiose, da dove nasce nell’uomo questo desiderio di affidarsi a un Essere superiore? Queste sono solo alcune domande innescate da quel primo, provocatorio quesito. Nella storia del pensiero c’è chi ha sostenuto – esplicitamente Karl Marx – che la religione abbia svolto un ruolo di “oppiaceo” nella triste esistenza di uomini e donne condannati a soffrire («il singhiozzo di una creatura oppressa», diceva il filosofo di Treviri). Da qui anche il titolo del libro pubblicato da Piemme, L’oppio dei popoli. Quando la religione narcotizza le coscienze, un titolo che, per la verità, sembra già contenere una risposta che il testo non dà, quanto meno non in questi termini.
Registra, invece, il libro ideato da Antonioli, il dibattito aspro ma anche stimolante sul sacro e sulle religioni in corso da alcuni anni negli Stati Uniti e in Europa, che vede, da una parte, il cosiddetto fenomeno del “ritorno di Dio” – la ripresa dell’interesse e delle domande “religiose” – e dall’altra il moltiplicarsi di critici del fatto e del discorso religioso, che spopolano a livello di pubblicistica e di posizionamento sui media. Qualche nome? Il filosofo Michel Onfray, lo scrittore e giornalista Christopher Hitchens, il biologo Richard Dawkings, il matematico Piergiorgio Odifreddi, per fare solo qualche esempio. Anche i grandi mezzi di comunicazione, come la televisione e il cinema, danno sempre più conto di un dibattito che, pur con storture e scandalismi a buon mercato, riesce evidentemente a fare presa su un sempre più cospicuo numero di persone.
La religione, allora, è davvero l’oppio dei popoli? Su questo tema sono sollecitati a rispondere gli psicologi e psichiatri coinvolti da Antonioli, in un’analisi non certo teologica, quanto appunto psicologica, degli effetti del fenomeno religioso sulla psiche umana. Verrebbe da credere di sì, pensando magari ai membri dei cosiddetti nuovi movimenti religiosi, le sétte. Aggregazioni che si propongono di far vivere ai propri adepti un’esperienza religiosa nuova, forte, in un gruppo compatto, convinto e unito, spesso guidato da un leader carismatico: elementi, questi, in grado di dare sicurezza, di risollevare e di ridare un senso a persone frustrate e insoddisfatte da una condizione spersonalizzante, massificante, incerta.
Eppure la religione, l’esperienza religiosa non è soltanto questo, come mettono in luce unanimemente i quattro studiosi interpellati. Lo sviluppo di una dimensione spirituale nella vita, sostiene il filosofo francese André Comte Spontville, citato nell’introduzione del volume, è connaturato all’essere umano e nessuno vi può rinunciare, pena l’amputazione di una parte della propria umanità. Non si può negare, però, che in alcuni contesti del mondo la religione continua a generare mostri e violenze, mentre nel nostro occidente secolarizzato sempre più spesso rischia di non comunicare più non solo le risposte alle principali questioni della vita, ma di non suscitare nemmeno le domande.
Molti gli spunti, molte le questioni sollevate in questo libro (la vita e la morte, i dogmi, la coscienza, le relazioni, l’intolleranza), così come diversi sono gli approcci dei protagonisti, pur colleghi tra loro. Non c’è una riposta più o meno esatta alla domanda iniziale. Ma forse i contorni di questa domanda e i termini del problema, alla lettura del libro, potranno essere un po’ più chiari.
Vittorino Andreoli
Paolo Crepet
David Meghnagi
Maria Rita Parsi
L’oppio dei popoli. Quando la religione narcotizza le coscienze
(a cura di Francesco Antonioli)
Edizioni Piemme, 191 pagg., €15,50
Alla domanda “la religione è l’oppio dei popoli” non si può che rispondere affermativamente.
Che la religione,proprio per il suo carattere spesso serva a giustificare guerre o campagne di intolleranza è innegabile.Dalla notte dei tempi l’elemento divino è stato usato dalle varie forme di governo per giustificare la propria origine( vedi Antico Egitto) nonchè le decisioni di intrapendere una guerra( Crociate o Jihad o giustificare una tassa (vedi la decima).Questo a mio avviso non significa che Dio non esiste ma semplicemente che il suo nome è stato usato per interessi che col divino non hanno nulla in comune.
Ognuno di noi ha bisogno di credere; dunque la raligione nasce da un bisogno connaturato con l’essere umano. Ci sono momenti in cui il razionale non può aiutarti, ma il senso del divino invece trascende il tuo dolore o illumina la tua gioia. La religione che genera mostri non é concepibile , come l’integralismo di qualunque tipologia; ricordiamoci che siamo tutti dotati di libero arbitrio, ovvero capacità e dunque diritto di scelta secondo i canoni etici che ciascuno reca in sè, dunque la religione non può generare in noi mostri perchè possiamo sempre liberamente decidere con la nostra testa, con il nostro cuore..Quanto poi a credere in entità divine o meno, probabilmente è davvero un oppiaceo, ma perché negarcelo?? Io ho una statua della Madonna in una certa chiesa dove mi portava la mia mamma da bambina; continuo a frequentarla almeno una volta la settimana, le parlo, le affido i mei cari, come faceva la mia mamma,le confido di tutto.. le ho presentato anche Giulianino; accendo ogni volta una candela per ognuno dei mei cari chiedendo solo che siano felici. E’ un’icona che mi rasserena: e dove sta il problema??