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una storia raccontata al Mattino da Guido Trombetti (il rettore dell’Università di Napoli Federico II), che riporto perchè carina e scritta bene!!

Storie di ordinaria follia, di Marco Ferreri. Con Ornella Muti e Ben Gazzara. No, va bene solo per il titolo. Rambo di Ted Kotcheff. Con Sylvester Stallone. Nemmeno funziona. In fondo Rambo è uno sfortunato coraggioso. Taxi driver. Il capolavoro di Martin Scorsese. Con un ineguagliabile Robert De Niro. Palma d’oro a Cannes per il miglior film. Nemmeno è perfetto. Però si avvicina. Mi ispira. Ho trovato il titolo giusto per il mio film realistico. Taxi customer. Sottotitolo: Vestiti da matrimonio.

Ne sono stato attore sbigottito e costernato. Sabato. Parcheggio dei taxi di Santa Lucia.Ore 23.30. Mia moglie ed io. Una coppia di amici. Di ritorno da un matrimonio. Aspettiamo un taxi. Ne arriva uno. Per gli amici. Il conducente, gentilissimo (sic!) ne chiama un secondo. Per noi. Arriva in pochi minuti. Conducente del secondo taxi un giovane taxista. Gentilissimo (sic!), anche lui. Simpatico. Estroverso. Le due auto, entrambe dirette a Posillipo, affrontano il caotico traffico del sabato sera. Clacson. Radio a tutto volume. Sguardi aggressivi. Tra piazza Sannazzaro e Mergellina si scatena l’inferno. L’incipit. Una raffinatissima espressione. Volata non so da dove verso chi: «Scurnacchiàààà».

Non so perché. Cosa è accaduto ancora? Il putiferio. Botte da orbi. I due conducenti dei taxi contro l’automobilista. Non so chi avesse torto e chi ragione. Sempre che abbia senso chiederselo. Non so se qualcuno ha provocato qualcuno. So che il film a quel punto prevedeva scene belluine. Cannibalesche. Calci. Pugni. Spunta una mazza. In un fotogramma di memoria vedo un martello. E sangue, tanto sangue sul viso di uno dei tre. Come mai non è morto? Non lo so. Forse un miracolo. Noi avviliti passeggeri seduti nel taxi. Eleganti, però. Vestiti da matrimonio. Attori spettatori del trionfo della violenza animalesca.

Scendiamo dall’auto. Chiamo il 112. Nessuna risposta. Il 113. Nessuna risposta. Folla. Confusione. Svenimenti. Un po’ veri. Un po’ neomelodici. La realtà è pittoresca, beffarda, surreale. Mia moglie, io e i due amici fermi lì. Tutti e quattro elegantissimi. Vestiti da matrimonio. Senza saper che fare. Aspettando in quel marasma non so che. Forse Godot. Certo non la forza pubblica. Di cui non si vede nemmeno l’ombra. Come sempre. Ogni giorno. Ogni sera. In una delle zone più affollate della città di sabato sera. Teatro di risse e sopraffazioni. Una divisa non la trovi a pagarla a peso d’oro. L’unica divisa era la nostra. Quella da matrimonio.

Arriva finalmente un’ambulanza. Soccorrono il ferito. Si scioglie il «montone di folla». Al soffio di un mormorio «sta arrivanno ’a polizzia» (sì, aspetta tu…). E non ne so più nulla. Ovviamente i due taxisti-rambo erano spariti. Gli amici rassegnati (e giovani) si avviano a casa a piedi. Per noi è impossibile. Troppo ripida e lunga la salita. Troppo alti i tacchi da matrimonio di Paola. «Vediamo se qualcuno si ferma e ci da un passaggio. Certo non è facile qui, a quest’ora e con certi volti in giro». Ovviamente applico il metodo del Lombroso. Guardo la faccia prima di implorare uno strappo in cima alla salita. E qui il colpo di scena. Un raggio di luce. Forse rassicurata dal nostro abbigliamento (il vestito da matrimonio serve!) si ferma al mio segnale implorante una bella faccia. Quella di una ragazza dolce ed affabile. Con straordinaria cortesia ci accompagna a casa. E lo fa con particolare classe. Quasi se fossimo noi a fare un garbo a lei. Ha il tempo di raccontarci che studia Giurisprudenza. Anche la grazia di quella signorina è Napoli, penso per consolarmi.

P.S. Un piccolo sfizio me lo sono tolto. La corsa non l’ho pagata. In compenso, nello scendere precipitosamente dal taxi che sobbalzava tra pugni, calci e martellate, mi si è strappata la giacca del vestito. Che dolore! Era il vestito buono. Quello dei matrimoni.